Oggi parliamo dell’Ol Minadur, una nuova tipologia di formaggio che valorizza il patrimonio caseario e minerario dossenese.
Il formaggio minerario
È chiaro, i giovani e la comunità di Dossena hanno individuato dei modi non solo per valorizzare le tradizioni del proprio Comune. Tramite iniziative innovative e trovate originali, stanno rilanciando la propria terra, rendendola celebre. L’Ol Minadur ne è una nuova testimonianza, che si incastona nell’evento CheeseMine. Esso fa tesoro della tradizione alimentare locale e stimola il coinvolgimento di sette aziende agricole e della Cooperativa di Comunità che collaboreranno tra loro in sinergia. L’obiettivo primario del progetto di ricerca è la realizzazione, da parte di aziende agricole di Dossena che producono e trasformano latte bovino o caprino, di formaggi da latte crudo il cui processo di maturazione si svolgerà in miniere di fluorite recentemente riaperte al pubblico a fini turistici. Utilizzare le miniere per stagionare i formaggi rappresenterebbe un’importante e concreta possibilità di differenziazione della produzione casearia, abbattendo i costi per i singoli produttori per la stagionatura e sviluppando un prodotto che sembra avere un riconoscimento del valore di mercato sensibilmente superiore allo stesso prodotto stagionato tradizionalmente.
Una storia che va assolutamente raccontata! Ne parliamo con Giampietro Gambirasio, della Cooperativa di Comunità “I Rais”.
Quanto è buono l’Ol Minadur?
«È buono tanto! Si distingue da tuti gli altri! Il sapore dei formaggi in generale possiamo dire che si colloca in un certo range. Il minadur è su tutt’altra scala, sia nella consistenza che nel sapore, dovuto alle muffe della miniera. Certo, a qualcuno può non piacere, ma è per una certa specifica fetta di mercato d’estimatori».
Che storia ha e come si produce?
«L’idea è nata dal sindaco e dal gruppo dei volontari che gestisce le miniere, le quali hanno riaperto recentemente il sito abbandonato per poterlo sfruttare dal punto di vista turistico. L’amministrazione, coinvolgendo le 25 aziende agricole del territorio, ha pensato di studiare se era possibile usare le miniere come locale di stagionatura, essendoci già altri esempi nella bergamasca o comunque similarmente alle cantine. Sono stati contattati gli allevatori locali, si è valutato che tipo di formaggi tenere in minera e nel corso dei mesi si è studiato come conservarlo e come migliorarlo. Parliamo di cinque anni fa, concludendo l’esperimento nel corso di marzo 2023. La valutazione si è conclusa con una disciplinare, comprendente le modalità di stagionatura. Il prodotto nasce dal latte intero proveniente da due mungiture diverse e scaldato due volte, la cagliata deve essere rotta in un determinato modo e portato in miniera entro dieci giorni. Mentre che questa prima fase si conclude, stiamo già sperimentando la conservazione per lo stracchino e il formaggio di capra».
Quanto ne viene prodotto ogni anno?
«Ad oggi siamo ancora su una dimensione ristretta, inserendoci in un piccolo settore di vendita per vedere se è gradito o meno. Dai primi tentativi, abbiamo visto che in effetti il prodotto, venduto a forme di 5 chili, sembra piacere e che il Mercato lo chiede, fino ad una ventina di forme al mese. Di per sé è un dato da prendere con le pinze, essendo un mercato molto mobile. D’altronde fino ad ora abbiamo fatto una serie di sperimentazioni e quindi i risultati erano diversi».
Ci sono altri notevoli prodotti caseari nel territorio?
«Di per sé per poter permettere questo passaggio è fondamentale ottenere prima un riconoscimento ufficiale, ovvero la costituzione di una associazione che dia una identità a questo formaggio per creare un marchio di riferimento (così come per lo straccino). Similarmente a quanto in sviluppo per il locale gin distillato con erbe botaniche del territorio e lo zafferano coltivato in loco. Ad ogni modo, essendo presenti venticinque aziende casearie sul territorio, i prodotti che si possono trovare, considerando le varie diversità, sono molti a livello di formaggi e di salumi, sia di mucche che di capra che misti, che freschi che stagionati».
Come è nata l’idea di organizzare il “CheeseMine” e come si integra con l’evento “Una Miniera di Gusto”?
«L’amministrazione comunale, valutando le potenzialità delle miniere per legarle ad un progetto di stagionatura dei formaggi, ha provveduto a contattare Regione Lombardia, iscrivendo questo progetto tra i maggiori locali coinvolgendo regolarmente anche l’Università di Milano. In merito a “Una Miniera di Gusto” è uno sposalizio quasi obbligato! Proprio perché esce dalle miniere, è il principe dell’evento».
Quanto è utile pubblicizzare questi eventi e la valorizzazione delle miniere per questa specialità?
«L’interscambio tra miniere e formaggio avviene in tutti e due i versi. Le miniere negli ultimi tempi sono state aperte in maniera più continuativa, specialmente grazie a VisitDossena e al gruppo delle miniere, per cui a ricaduta sono aumentare le vendite del formaggio, giacché il tour escursionistico, passando nel suo percorso dalla galleria dove viene stagionato, ne aumenta parallelamente le vendite. Al contempo, sia nel centro comunale che nelle varie occasioni di pubblicizzazioni, lo stand di promozione del formaggio a sua volta invita il pubblico alla visita delle miniere».
Quale è l’apporto dei produttori del territorio?
«Sono sette gli allevatori coinvolti, con l’ottava azienda abbinata che si dedica solo alla stagionatura. Ci sono state diverse risposte, alcune con entusiasmo, altre si sono unite in corso d’opera mentre alte hanno scemato la loro adesione, essendo un percorso molto lungo, quindi comprensibilmente. Ad ogni modo tutti coloro che hanno portato avanti il progetto sono soddisfatti, avendo un formaggio in più da poter offrire nel proprio catalogo di vendita e che accomuna tutte le otto aziende. La pubblicità è per tutte e due».
Che finanziamenti sono stati ottenuti per la valorizzazione di questo prodotto? Ci sono altri progetti in itinere o in studio per la sua valorizzazione?
«I finanziamenti sono a livello regionale e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale attraverso il GAL Val Brembana. Di per sé ad oggi abbiamo raggiunto un livello conclusivo, grazie alla disciplinare che conclude questa fase. Un obiettivo non secondario ora è quello di dare un “padre” a questo prodotto tramite una associazione di produttori che si auto-vigili e gestisca su tutti i passaggi. Il progetto fino ad ora era finanziato, ora tramite un consorzio deve valorizzarsi e sostenersi da sè. Difendersi da eventuali imitazioni e garantirlo sul mercato».