Il sacrificio dovuto alla crisi pandemica mondiale, che ha fermato il Mondo intero rallentando le emissioni di CO2, l’inquinamento atmosferico e migliorando per qualche tempo l’ambiente, è stato vanificato nel corso del 2021. Insomma, è stato un breve sospiro di sollievo, prima di tornare immersi nel mare di smog.
I numeri statistici
La Global Carbon Project, un consorzio composto da scienziati internazionali dedicato al monitoraggio delle emissioni inquinanti, ha difatti sottolineato come il livello di emissioni di CO2 nel 2021 abbia già raggiunto quelle precedenti all’arrivo del Covid. Se infatti il lockdown del 2020, volenti o nolenti, permise un crollo del 5,4% sulle emissioni (record mai raggiunto prima dopo il 1945), l’anno seguente la crescita è stata del 4,9%. Ovvero, 34,8 miliardi di tonnellate di emissioni rilasciate nel 2020 contro i 36,4 miliardi del 2021. E come dato ulteriore, lo studio rivela come le emissioni dovute alla sola deforestazione siano aumentate del 40% rispetto al 1990.
Cause e differenze tra le Nazioni
Se il petrolio mantiene ancora un minore livello di crescita, l’impennata del 2021 nelle emissioni è senz’altro dovuto al carbone e al gas, che con il progressivo aumento del 6% arrivano a superare i livelli che avevano nel 2019, peggiorando quindi il quadro antecedente al Covid. Una “colpa” condivisa da tutte le nazioni del mondo, ma spesso dagli stessi cittadini, a dimostrazione che le accuse non possono essere rivolte esclusivamente ai governanti. Se infatti la Repubblica Popolare di Cina produce il 31% delle emissioni mondiali, distanziando ampiamente gli Stati Uniti d’America al 14%, sono però i cittadini statunitensi a registrare in media una maggiore responsabilità nella produzione di CO2 arrivando a toccare le 14,2 tonnellate contro le 7,4 dei cinesi, ovvero più di tre volte la media mondiale. Sul paese del Dragone pesa però anche la crescita dell’1,4%, unico paese ad aver registrato un aumento anche durante la crisi sanitaria mondiale. E sul podio in entrambi i casi sale anche l’Unione Europea, che produce il 7% delle emissioni mondiali come l’India e i cui cittadini comunitari partecipano con 5,8 tonnellate di emissioni a testa.
Il commento dell’autore Pierre Friedlingstein
Il direttore dello studio, il climatologo Pierre Friedlingstein della britannica Università di Exeter, ha commentato in modo particolarmente negativo questi dati, criticando le principali nazioni inquinanti. «Gli investimenti nell’economia verde previsti nei piani di rilancio economico di molti Paesi – dichiara – sono stati insufficienti, fino a oggi, per evitare questo ritorno verso l’economia fossile pre-Covid. Arrivare a zero emissioni nette da qui al 2050, come hanno promesso molti tra i Paesi più inquinanti, vuol dire ridurre le emissioni mondiali di CO2 di circa 1,4 miliardi di tonnellate ogni anno, in media. Il paragone con un anno particolare come il 2020, dove le emissioni si sono abbassate di 1,9 miliardi di tonnellate, spiega la gravosità di questa necessaria ma quasi proibitiva impresa».
Il commento dell’autrice Philippe Ciais
Philippe Ciais, ricercatrice francese del Laboratorio di Scienze del Clima e dell’Ambiente e coautrice dello studio, ha dichiarato: «Il mondo non sta prendendo la strada di una riduzione delle emissioni. Ma più si rinvia il problema e più la decrescita della CO2 dovrà successivamente essere rapida e drastica, per riuscire a stabilizzare il riscaldamento globale. Le energie rinnovabili – prosegue – rappresentano ancora una piccola parte della produzione dell’energia mondiale. Hanno avuto un ruolo importante durante il picco della crisi sanitaria, facendo però dei passi indietro nel 2021. Sarà la competizione che si disputa tra energie fossili e energie a basse emissioni di carbonio a essere cruciale per i futuri livelli di CO2».
Su tutto il quadro una domanda infine aleggia: se nel 2022 ogni aspetto della vita quotidiana riprenderà a pieno regime, specie trasporto stradale e aereo, che numeri verranno registrati?